La scelta di dire no alla Nazionale dell’ex tecnico della Roma ha fatto storcere il naso a molti
Il rifiuto di Claudio Ranieri di assumere la guida della Nazionale italiana ha generato non poca confusione e dibattito sul nome del prossimo CT. Per il post-Spalletti, al momento, sembra in pole position Gennaro Gattuso, reduce dall’esperienza all’Hajduk Spalato. Sulla vicenda del “no” di Sir Claudio e sulla situazione attuale dell’Italia ha espresso il suo parere Arrigo Sacchi, intervenuto ai microfoni della Gazzetta dello Sport.
Ranieri e il “Dovere Morale” di Dire “Sì” alla Nazionale, Secondo Sacchi
Arrigo Sacchi, icona del calcio italiano e simbolo di un’epoca gloriosa della Nazionale, ha commentato con fermezza la decisione di Ranieri. Pur non conoscendo le motivazioni profonde del rifiuto, Sacchi ha espresso un principio fondamentale per la sua visione del ruolo di CT: “Alla Nazionale non si può dire di no. È un dovere morale rispondere alla chiamata, perlomeno io la vedo così“.
Per Sacchi, la Nazionale non è una semplice squadra, ma “la squadra di tutti gli italiani” e, di conseguenza, per un allenatore “dovrebbe rappresentare il massimo traguardo“. La sua retorica è carica di passione e senso di appartenenza: “Che cosa c’è di più alto e di più nobile che poter essere a capo di un progetto che coinvolge l’intero Paese?“.
A supporto della sua tesi, l’ex Ct ha portato un esempio personale significativo, risalente al 1991: “Pur di allenare la Nazionale, rinunciai a due miliardi di lire nel 1991. Ne prendevo tre dal Milan e la Federcalcio me ne offriva soltanto uno. E c’era pure il Real Madrid che aveva messo sul tavolo addirittura cinque miliardi perché andassi in Spagna. Non ebbi alcun dubbio: scelsi la Nazionale“. La sua scelta fu dettata da un’ambizione superiore: “Volevo portare il mio Paese sul tetto del mondo e nel 1994 ci andai vicinissimo. Se solo non ci avessero messo a giocare in quel forno che era la costa est degli Stati Uniti, e fossimo andati in California come il Brasile, chissà come sarebbe andata“. Un rammarico che ancora oggi accompagna il ricordo di quella finale mondiale.